Là dove vita e morte si congiungono in un unico respiro, al confine occidentale fra il giardino e la campagna, il pergolato di glicine incontra il cimitero dei cani. Voluto dai Piccolo, è un luogo che custodisce molto più che la memoria degli “amici a quattro zampe” che affollavano la villa: il silenzio di questo spazio, cinto dalla ringhiera che un tempo circondava il terrazzo di Casa Piccolo, è il simbolo vivente di ciò che il cimitero rappresenta.
Luogo di meditazione e di incontri con l’energia che la natura emana. Luogo di eterna possibilità. Luogo che custodisce il soffio per una rinascita. Ecco perché più che di cimitero dovrebbe, forse, parlarsi di dimora: una casa nuova per i cani e i gatti dei Piccolo, che ricorda a tutti quel vincolo inscindibile ed eterno fra la vita terrena, il piano della manifestazione e il mondo sottile, ovvero quell’universo da sempre indagato dai Piccolo di Calanovella. Luogo di grande suggestione, il cimitero dei cani è fra i più visitati della Villa: tanti i turisti italiani e stranieri richiamati dal fascino evocativo che emana.
Ciascun cane e ciascun gatto vissuto a Villa Piccolo qui ha la propria sepoltura. Le lapidi recano i nomi degli animali che appartennero ai tre fratelli. Ci sono Alì, Emir, Pascià, Puck (cane che Lucio Piccolo amava portare sulle ginocchia), Mamoud, Bey, Omar, Micado, Malatedda, Aladino, Farouk, Cafir, Sha e molti altri. Molti nomi sono mediorientali, per attestare il fascino esercitato presso i Piccolo dalla cultura di quei popoli. E anche negli “acquerelli magici” di Casimiro ricorrono spesso personaggi da “mille e una notte”, con grandi turbanti ed esotiche fattezze.
Non è un caso che qui riposi anche Crab, l’amatissimo cane di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, morto durante uno dei lunghi soggiorni che l’autore del Gattopardo faceva a Capo d’Orlando, dove trascorreva lunghi periodi proprio dai suoi cugini Piccolo.
Impensabile immaginare la Villa di contrada Vina senza cani, tanto che per un periodo abbastanza lungo, proprio davanti all’ingresso principale della casa, una schiera di cucce ricordava a tutti quale posto d’onore fosse riservato ai cani dai Piccolo di Calanovella.
Ed è anche per questa ragione che, ieri come oggi, nel cimitero dei cani, sguardo interiore e sguardo materiale si fondono in un percorso esistenziale che congiunge i differenti piani della vita. I cani accompagnano i vivi anche dopo la morte. Nel ricordo, nella presenza e nell’esperienza della quotidianità. Era, infatti, convinzione dei Piccolo che i loro cani continuassero a vivere anche dopo la morte, come attestano le “apparizioni” a Casimiro, raccontate da egli stesso nel 1967 nell’intervista “Il Favoloso quotidiano” di Vanni Ronsisvalle: “… Un mio cane morto da nove anni io l’ho visto tre volte. Ma visto bene. Completamente materializzato due volte, una volta trasparente; ma l’ho visto pure. Poi venne a battere alle porte, a bussare, ad abbaiare di notte, abbaiare da fare spavento, nella stanza all’angolo della mamma. Si figuri che lo sentiva lo chauffeur da sotto […]”
Racconto confermato anche da Camilla Cederna, abituale ospite estiva dei Piccolo: “[…] Mi disse a proposito di Alì il maggiore dei Piccolo, barone Casimiro, ottimo esperto di fotografia. […] con molto garbo e nulla di enfatico nella voce, mentre a poco a poco il cielo andava vuotandosi dal sole, qualche uccello invisibile con piccoli voli faceva rabbrividire le foglie d’arancio, e dalla gran fossa si levavan latrati a salutare le prime ombre violette, egli mi raccontò come il grande Alì fosse tornato sulla terra in un pomeriggio di primavera […] Era proprio Alì in visita dall’Aldilà, che forse desiderava essere fotografato anche lui dal suo padrone. Tornò due volte ancora. E una volta il maggiore dei Piccolo gli poté parlare per circa un minuto e mezzo”.
Ciascuna lapide accompagna una sepoltura e nei vasi che contrassegnano ogni piccola tomba del cimitero non mancano mai i fiori freschi. Oggi come al tempo dei Piccolo di Calanovella.